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Sempre più spesso si sente parlare e ci viene richiesto se è possibile effettuare interventi al seno utilizzando innesti di “grasso” al posto delle tradizionali protesi, con la convinzione che in questo modo l’intervento possa risultare più naturale.

Tecnicamente la tecnica di lipofilling, ovvero l’innesto di tessuto adiposo autologo, è ampiamente collaudata e praticabile anche per una mastoplastica, ma ci sono alcune criticità che vanno considerate.
In primo luogo ci deve essere un quantitativo di tessuto adiposo sufficiente. Nel lipofilling, il “grasso” iniettato proviene dallo stesso paziente. Nel calcolo bisogna considerare che, una volta estratto, il tessuto riutilizzabile è circa il 25% di quanto prelevato con una liposuzione. Di questo il 70% si riassorbirà nei primi 18 mesi. Questo significa che il quantitativo di grasso necessario è notevole e comunque saranno necessari interventi correttivi secondari.
Inoltre bisogna considerare che il grasso iniettato non è un tessuto con una forma definita, ma è “vivo” a tutti gli effetti. Un utilizzo così ampio come quello richiesto da un aumento del seno non da garanzie riguardo la forma che si otterrà.

Diversamente, nella mastoplastica additiva tradizionale, si utilizzano protesi ampiamente collaudate che sono sottoposte a continui sviluppi sin dal 1962.
In più di quarant’anni le protesi hanno raggiunto un livello di affidabilità e naturalezza elevatissimi. Le nuove protesi sono infatti dotate di dotazione di garanzia a vita e non vanno più sostituite ogni 10-15 anni. Inoltre vi è la possibilità di scegliere tra diverse forme e dimensioni: la naturalezza del risultato dipenderà dalla scelta della protesi più adatta alla propria conformazione anatomica.



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